Villa Temi





Questo lavoro è dedicato a mia moglie Roberta

Track List

1. Bologna ‘77 (Rosso)
2. Chissà poi (Trucco)
3. E il piede varcò la soglia (Trucco)
4. God (Trucco)
5. I dubbi di Adamo (Trucco)
6. Il compito in classe (Trucco)
7. La scuola (Trucco)
8. Milano (Rosso)
9. Un giorno diverso (Trucco)
10. Un Natale (Trucco)
11. Voglio Elena – Demo Version (Trucco)

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vILLA tEMI è disponibile su iTunes al seguente link:
https://itunes.apple.com/gb/album/id1517088690 

Intervista del 24 giugno 2020 di Angela De Gregorio (Musyance)

L’album comprende registrazioni iniziate nel 2012, brani scritti nel 2019 e recenti sovraincisioni. Il mix definitivo è stato effettuato nel mese di aprile durante la segregazione dovuta al COVID-19.
Salvo dove indicato tutti i testi, le musiche e gli arrangiamenti sono dell’autore.
Video e fotografie di Daniele Trucco.

Bologna ‘77
Omaggio al cantautore Stefano Rosso.

Chissà poi
Il brano parla da sé. Gran parte degli strumenti utilizzati per registrarlo sono quelli di mio figlio infante, come di mio figlio è la voce che sbuca qua e là tra la musica.

Chissà poi cosa passerà mai per la testa di un vecchio
tutto il dì seduto in cucina di fronte a un vetro.
Mesi spesi ad aspettare qualcosa tipo un male o un parente;
curvo e secco senza ruolo né denti poca luce negli occhi.

Dicon che persino il tempo
non risponda più ai meccanismi quotidiani della mente.
Dicon che i sapori delle cose
sian diversi causa la salivazione insufficiente.

Chissà poi cosa passerà mai per la testa di un vecchio
quando il fiato comincia a mancare una mattina nel letto.
Tutto scuro forse è questo il momento (me) lo aspettavo diverso.
Quanta pena, manca poco lo sento, il nero sembra violento.

Dicon che il cervello
non si renda conto del passaggio e dell’azzeramento.
Dicon che però i ricordi
stiano da qualche parte ma non son sicuro.

Chissà cosa poi succederà mai della testa di un vecchio…



E il piede varcò la soglia

Che cancello robusto e pesante.
Quanto tempo passato è trascorso.
Nulla pare mutato da quando…
Forse qualche ruga in più sui pavimenti lucidi.
Forse più sbiadite le solite foto misere.
Comunque vedo che tutto è a posto.
Le piante, i vetri: a posto.
Qualcuno di sicuro ci starà pensando.
E tu? Non invecchi mai (Che battuta infelice).
Lo sai? Dante è già papà (ma non è Beatrice)

Però mi conosci, io son sempre quello
che ride, che scherza e dimentica tutto.
Pensiamo a noi: ti ricordi quel posto?
Il mare arrabbiato, l’amaro bevuto
col matto che urlava, gridava, sudava,
pioveva.

Inutile tornare a pensare
a rivivere i vecchi tempi felici andati
di quando eravamo fidanzati.
Ecco perché io non vengo mai in questo posto macabro.
E la vita poi va avanti silenziosa, frenetica.
Con ciò non voglio dire che non ti penso;
Ma poi le strade, i libri, i bar…
Non ho più grandi spazi per i ricordi.
Per ciò ti dico che questa, forse la mia prima visita
è probabilmente, anzi di sicuro, l’ultima.
E saluto tutti come si suole:
riposate in pace.




God
Dieci endecasillabi errati (ognuno con un accento sfalsato di una sillaba) per costruire il vero senso dell’onnipotenza di dio. Qualche dettaglio in più lo si può avere in questo mio scritto pubblicato su Margutte: http://www.margutte.com/?p=26859.

Ìo non mi annullo in panzane che tu
nemmèno vorresti aver concepito.
Parapìglia senza senso: stupito
ci osservi càuto, certo già sapendo
che la soluziòne coinciderà
con l’autodistruziòne. Quanto tempo
sprecato: lasciaci stàre. Continua
a farti i fatti tuoi che ti è riuscito
sempre bene. Dona di pietà a noi
un autentico gesto: autodistrùggiti.



I dubbi di Adamo
Per capire bene la canzone si legga “La creazione e P.H. Gosse”, racconto di J. L. Borges tratto da Altre inquisizioni.
Il testo della canzone è costruito con narrazioni, pensieri e più narratori, espediente che genera un bel po’ di confusione al primo ascolto.

Era la prima notte ma una serie di secoli l’aveva preceduta.

Un giorno nacque Adamo
e aveva già trent’anni
poi si guardò la pancia:
avrà visto un ombelico?
“Ma chi sarà mio padre
o chi mi ha costruito.
Sono il primo uomo
e nasco insieme al dubbio.
Orfano di tutti
anche di me stesso
ho un vuoto di memoria
grande come l’infinito.
Ma se io sono il primo
allora in precedenza
non c’era certo uno
più prima di me.
Che ci faccio qui?
Chi mi vuole qui?
Non ricordo nulla…
Forse ho capito cosa vuole da me
E se fossi un messaggio? Un segnale…
Dunque sono il solo
l’essere perfetto
nato senza causa
o vivo senza effetto?
La giovinezza l’ho perduta
così posso invecchiare.
Quindi è nato il tempo
e posso anche morire? O no?
Credo che mio padre (o chi mi ha costruito)
mentre creava il mondo (e tutto quanto il resto)
abbia stabilito
di creare anche il passato!
Chi un giorno dovesse trovare i resti
del mio inutile corpo,
potrà dimostrare senza torto
che non sono mai esistito".

La scienza allora ha sbagliato
e Darwin è stato un minchione:
Adamo non è mai nato
e i fossili sono invenzione! O no?

Il compito in classe
Il paradosso dell'impiccagione imprevedibile, noto più semplicemente come paradosso dell’impiccagione, è un celebre paradosso logico reso noto dal matematico Martin Gardner. Il paradosso si basa su un’antica leggenda spagnola circa la figura storica del conquistador Francisco de Orellana Enunciazione del paradosso: nel 1546 Orellana fu catturato e imprigionato in una piccola e umida cella. Molto prima di essere convocato, in considerazione dell’efferatezza dei delitti commessi, il giudice proclamò una singolare sentenza: «Il colpevole sarà impiccato un giorno della prossima settimana, ma egli non dovrà sapere quale sarà il giorno dell’esecuzione, che dovrà arrivargli completamente inaspettata». Il condannato non fu per nulla turbato dalla sentenza perché dopo un breve ragionamento concluse: «Allora non mi impiccheranno mai! Dato che la mia sentenza deve essere eseguita entro la settimana, l’esecuzione non potrà essere sabato poiché venerdì lo capirei, e non potrà essere venerdì perché giovedì lo saprei, e così a ritroso per lo stesso motivo non potrà essere nessuno dei giorni precedenti. Per questo motivo non mi giustizieranno mai, in quanto l’impiccagione non sarebbe inaspettata». Il giorno seguente, tuttavia, il condannato fu impiccato. La sentenza del giudice fu eseguita, a dispetto della convinzione del condannato, in quanto, come previsto dalla sentenza, l’esecuzione gli fu inflitta “in un giorno inaspettato”.
Il paradosso è conosciuto anche in diverse forme. Un’altra enunciazione, ad esempio, fa riferimento all'interrogazione (o esame) “a sorpresa”, annunciata agli allievi da un professore per la settimana successiva, ma in un giorno completamente imprevedibile: gli studenti, con lo stesso ragionamento, concludono che non ci sarà nessuna interrogazione. Analisi del paradosso. Molto è stato scritto sulla struttura di questo paradosso. In tutti gli enunciati, la sostanza è la stessa: si fissa un periodo di tempo per il verificarsi di un certo evento e si dichiara che il momento esatto dell’evento è imprevedibile. Nell’analisi di questo paradosso è coinvolta sia la logica sia l’epistemologia, cioè sia il modo di ragionare che il modo di stabilire che cosa si sa o non si sa. Dal punto di vista logico, la sentenza del giudice è vagamente contraddittoria e potrebbe essere analizzata con maggior successo inquadrandola nella logica sfumata (logica fuzzy). In ogni caso, se ci si pensa, è evidente che per far eseguire la sentenza in modo completamente inaspettato, bisognerebbe non comunicare del tutto la sentenza all'imputato. Altrettanto evidente è che tanto più è breve il periodo assegnato all'esecuzione, tanto più è contraddittoria la sentenza. Nel caso limite, qualora il periodo di latenza per l’esecuzione si riducesse a un solo giorno, la sentenza potrebbe essere parafrasata nella seguente autocontraddizione: “Domani sarai impiccato, ma tu non puoi prevedere che domani sarai impiccato”. Dal punto di vista epistemologico, la contraddizione sopra enunciata corrisponde al cosiddetto paradosso di Moore, in cui uno afferma: “So che fuori piove, ma non ci credo”, ed è problematico capire che cosa uno sa o non sa. Dal punto di vista del prigioniero, comunque, è azzardato trarre conclusioni certe da una sentenza vagamente contraddittoria. A maggior ragione, se egli la considera completamente contraddittoria (e quindi irrealizzabile), dovrebbe tenere conto che ci sono infiniti modi per non eseguire la sentenza. Ad esempio: lasciar vivere il condannato, eseguire la sentenza oltre il limite fissato, comunicare al condannato il giorno e l’ora dell’esecuzione. Quindi il condannato dovrebbe aspettarsi di essere impiccato in qualunque momento, anche l’ultimo giorno della settimana, senza poter essere certo di quale sia questo momento. In altre parole, la sentenza del giudice non può essere pienamente rispettata, perché l’esecuzione non è completamente inattesa, ma ottiene lo scopo di lasciare nell’incertezza il condannato. (Fonte Wikipedia)

Quell’anno il professore ci disse:
“Ragazzi aprite bene le orecchie:
un giorno della settimana prossima faremo una verifica sugli argomenti appresi”.
Fin qui non c’era nulla di strano,
ma poi puntualizzò in questo modo:
“Non vi dirò il giorno della prova cosicchè vi arrivi senza che nessuno se la aspetti”.
Dopo averci pensato su
dissi soddisfatto così:
“Certo non poteva andarci meglio: né più mai faremo il compito in classe stabilito”.
“Perché mai?”
“Se si deve fare la verifica
entro e non oltre la domenica,
non sarà di sabato di certo”.
“Perché mai?”
“Perché il venerdì lo capirei!
Venerdì poi non sarà di certo”.
“Perché mai?”
“Perché lo capirei già giovedì!
Giovedì poi non sarà di certo”.
“Perché mai?”
“Perché lo capirei mercoledì!
Di certo non sarà mercoledì”.
“Come mai?”
“Perché lo capirei il martedì.
Martedì poi non sarà di certo”.
“Perché mai?”
“Perché lo capirei di lunedì.
Lunedì poi non sarà di certo”.
“Perché mai?”
“Perché lo capirei già la domenica.
Il compito perciò non si farà mai”.
“Che ne sai?”
“Perché non riuscirebbe inaspettato”.
La buffa storia finì così:
la verifica fu di martedì!
Anche il professore ebbe ragione poiché il compito di fatto fu del tutto inaspettato.



La scuola

Brano di memorie probabilmente comuni un po’ a tutti, anche agli insegnanti.
Dedicato, naturalmente, ai miei alunni passati e futuri.

Il primo è un ricordo sfumato
di chi non è ancora bambino;
c’eran le suore, la vasca coi pesci.
L’angoscia che sale: “Mamma, non mi lasciare”
“Signora se ne vada serena. E tu,
sarai a casa prima di cena.
Bambini svelti tutti a pregare”.
E lento il sole si alzava
sui tetti di quella scuola;
trent’anni poi sono passati,
volati in percorsi tortuosi e pericolosi per me.
Più chiaro il ricordo a sei anni:
“Focaccia per trecento lire”.
L’intervallo era lungo, e che sete alla fine.
La noia che sale: “Maestra non mi sgridare”.
“Daniele comportati bene;
e voi ora fate attenzione.
Torniamo ora alla divisione”.
E il sole caldo brillava
fra gli alberi di quella scuola;
vietato bagnarsi con l’acqua
e via dal cancello sul retro che dà sulla strada più in là.
Le medie: paura di tutto.
Il paese e i compagni eran altri.
“Attento ai più grandi; qualcuno già fuma”.
In BMX da casa alla Luna
per vedere la gonna di Jenny,
e invece patire gli stenti
di un bacio soltanto sognato.
E il sole alto accecava
dai vetri di quella palestra;
la corsa campestre nel prato,
la puzza di adolescenza. “Pazienza, poi sai cambierà”.
Il Liceo, una noia mortale;
i docenti gran parte imbecilli.
Mi han salvato la musica e le prime tastiere;
mio nonno moriva, la patente arrivava.
“Ma quando farà un po’ più bello!
Nemmeno il cielo sembra più quello.
Ti prego adesso fammi copiare”.
E il sole enorme calava
all’uscita delle riunioni;
le versioni di Livio da fare,
e poi il bivio: “Che cosa farò se uscirò mai da questa galera”.
Torino, che viaggio, che gente,
che polvere nei corridoi;
milioni di cicche fumavano svelte.
Il latino, gli esami: “Perché non mi chiami”.
Tutto era nuovo e diverso,
e che bello anche il tempo perso.
“La Mole, sai, diventa un museo!”
E il sole sfinito moriva
nei lunghi ritorni col treno
che sonno e che freddo in stazione;
struttura e funzione del nome, del verbo e dell’interiezione.
La scuola un giorno finisce
come più o meno tutte quante le cose.
Che malinconia ripensarci da vecchio;
l’angoscia che sale, il tuo tempo che muore.
Eppure sai che è giusto così.
“Infermiera, se ne vada da lì”
“Professore è tardi, spengo la luce”.


Milano
Altro omaggio a Stefano Rosso.



Un giorno diverso
Descrizione ipotetica degli ultimi istanti di vita di una persona. Il solo di synth deriva da un altro mio brano di qualche anno fa dal titolo La sposa.

Quando perderò l’equilibrio
quello sarà un giorno diverso.
So già che avverrà d’improvviso,
un perverso gioco di ruolo.
E tutti gli altri a guardare per un po’
uno che è caduto, chissà poi però
che cosa succederà.
“Perché non riesco a parlare,
a pensare ancora sì:
come fare, farsi capire,
ma che confusione!”

Quando vedrò il mondo cadere
quello sarà l’ultimo giorno;
fisso l’occhio su un quadro, un oggetto,
sul nulla con angoscia e terrore.
E che rabbia: tutti a guardare per un po’
per poter poi raccontare: “Io ho visto, lo so”.
Per avere una notizia
strana, diversa, pietosa,
scandita con estrema perizia e dovizia
di particolari inquietanti:
e i denti, e i denti…

Quando vedrò il mondo dal basso
tutto sarà fermo per sempre
l’orizzonte diverrà la sporcizia
incrostata in un angolo enorme (e deforme).

Un Natale
Il ricordo di un Natale lontano e l’annuncio di uno vicino.

Furon giorni freddi e noi
si stava in casa ad aspettare.
Una slitta arriverà
dal cielo in volo insieme a lui.
Quanta neve c’era quel giorno
“Corri, scendi di sotto, dai!
Ha lasciato doni per tutti
e poi se n’è andato di là” (guarda le impronte…)
Tu spostavi sedie e pacchi
per cercare un foglio blu.
“L’avrà messo fra i suoi sacchi:
la risposta sarà lassù!”
Poi l’estate si prese la tua
infanzia, eri cresciuto ormai.
Lentamente stava morendo
tutto quel mondo per sempre.

Molti anni son passati
da quei giorni insieme a te;
ieri fra due libri vecchi
ho notato un foglio blu:
Figlio mio domani sarà Natale
quello dei figli tuoi.
Oggi tocca a loro sognare
e adesso ti lascio:
io vado di là.

Voglio Elena

Versione demo del brano che verrà presentato a settembre in versione pop supportato da un videoclip girato dalla Filmalo Production, gruppo di ragazzi appassionati di cinema e frequentanti le scuole superiori di Cuneo. Gli attori, anch’essi ragazzi, saranno diretti per l’occasione dal diciassettenne regista Filippo Ariaudo, già autore del corto Vulnu’s rising.

Quando mi ha lasciato mi è crollato il mondo addosso
“Non sei più lo stesso” mi diceva e già sapevo che
non era più per me, non ero più per lei,
per lei che non avrei scordato mai.
Tu non sei come lei (Elena, Elena),
è finita tra noi (Elena, Elena),
mi dispiace lo sai
ma è tutto chiaro ormai:

non mi passa più con te (non mi passa più)!
Non mi passa più con te (voglio Elena, Elena)!
Non mi passa più con te (voglio Elena, Elena)!
Elena, Elena!
Elena, Elena…

Ora sai mi sembra che le cose stiano ferme,
tutto è sempre uguale e tu non sei quella speciale che
volevo insieme a me per una vita che
avrei vissuto senza fiato! Dai!
Tu non capisci mai (Elena, Elena),
ciò che voglio per noi (Elena, Elena)
mi dispiace lo sai
ma è tutto chiaro ormai:

non mi passa più con te (non mi passa più)!
Non mi passa più con te (voglio Elena, Elena)!
Non mi passa più con te (voglio Elena, Elena)!
Elena, Elena!
Elena, Elena…

So che stai soffrendo come io ho sofferto allora,
perdonami se vuoi ma non potevo più mentire…

Non mi passa più con te (non mi passa più)!
Non mi passa più con te (voglio Elena, Elena)!
Non mi passa più con te (voglio Elena, Elena)!
Elena, Elena!
Elena, Elena…


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