ATALANTA FUGIENS

UNA LETTURA POP DELLA SECENTESCA OPERA ROSACROCIANA


Lo stretto rapporto che lega la musica sia alla magia sia all’alchimia è ormai noto: la pronuncia intonata di una parola di potenza e il suono utilizzato con funzione evocativa sono elementi sfruttati in molte culture antiche (anche distanti nel tempo e nello spazio) e, in tempi più recenti, in quella europea rinascimentale e post rinascimentale. Proprio in quest’ottica trovano una loro spiegazione termini come epoidé (incantesimo attraverso il canto), carmen (e il suo inverso malum carmen) cantio, incantamentum o incantatio [Seneca riporta questo stralcio dalla legge delle dodici tavole in cui il termine ‘excantare’ assume il significato di ‘far scomparire con incantesimi il raccolto di un altro’: “Et apud nos in XII tabulis cavetur Ne quis alienos fructus excantassit” (Seneca, Naturales Quaestiones, IV, 7,2)]. Anche la goetia o goezia, da intendersi come pratica magica atta all’evocazione dei demoni, racchiude nel profondo del suo etimo greco (goetéia) il significato di gemito, forse richiamando il mormorio confuso di chi recita o cantilena le sequenze rituali. Le formule magiche del resto si emettevano con voci particolari, alterate, simili talvolta al lamento dei capri che venivano sgozzati nei riti sacrificali e delle cui pelli si rivestivano gli stregoni primitivi [La cerimonia sacrificale ha dato origine anche a quella forma particolare di arte definita tragedia il cui nome trae origine proprio dal caprone (tragos). Il verbo greco che indica il lamentarsi (goao) è onomatopeico e il suo suono è rimasto anche nella parola inglese goat (capra). Anche da questa antica simbologia deriverà la raffigurazione cristiana del diavolo come caprone].
Cantus, come ci fa capire Tibullo relazionando il termine alla maga che compare in una sua elegia, è l’atto del suo salmodiare magico [Haec cantu, finditque solum, Manesque sepulcris elicit, Tib. I, ii, 47] salmodiare cantato che emerge anche nella Divina Commedia (Purg. XIX, 17-19) quando la ‘femmina balba’, la strega che appare nel sogno del poeta, incomincia a “cantar sì, che con pena / da lei avrei mio intento rivolto”. Il passo che lega le sequenze magiche a vere e proprie melodie musicali è dunque molto breve: come ho già dimostrato altrove [Cfr. D. TRUCCO, Suono originario. Musica, magia e alchimia nel Rinascimento, L’Arciere, Dronero 2003; Musica, creazione ed ermetismo nel tardo ellenismo, in «Maia», fascicolo I, Anno LXI, gennaio 2009] la musica entra obbligatoriamente a far parte dell’universo magico con una funzione di primaria importanza all’interno della prassi. Essa si guadagna il ruolo di detentrice, tramite le melodie magiche, della corretta comunicazione con il macrocosmo, caricando la parola di un’ulteriore simpatia grazie alla sua sostanza vibratoria e aerea.
Il filosofo neoplatonico Plotino (204-270) scrive nelle Enneadi che “è proprio dell’anima essere attirata dagli incantesimi per la melodia, per certe formule e per la figura dell’incantatore: cose di questo genere, come figure e suoni commoventi, hanno una forza d’attrazione” [PLOTINO, Enneadi, a cura di P. Henry e H.R. Schwyzer, Paris-Bruxelles, 1951-73, 3 voll., (trad. it. G. Faggin), IV 4, 40-4]. Quinto Sereno Sammonico (?-212) nel suo poema didattico Liber Medicinalis ricorda ai lettori quanto sia importante per la cura della febbre l’iterazione cantilenante della formula abracadabra, poi entrata insieme a hocuspocus (forse una storpiatura della formula eucaristica hoc est Corpus) a far parte dell’immaginario collettivo legato soprattutto ai prestigiatori. Dall’antichità dunque ha origine l’evoluzione delle formule intonate che sconfinano anche nelle pratiche alchemiche.
Tutto questo legame è emblematicamente condensato a livello iconografico nella famosissima incisione tratta dall’Amphitheatrum sapientiae aeternae (1595 e ristampa postuma ad Hanau nel 1609) di Heinrich Khunrath (1560-1605), rappresentante un alchimista (l’autore stesso) in preghiera nel suo studio. Si noti come in primo piano spicchi un’iscrizione impressa sulla tovaglia del tavolo – su cui sono riposti confusamente un’arpa, una viola e due liuti – affermante che «la musica sacra scaccia la tristezza e gli spiriti maligni, poiché lo Spirito di Dio canta felicemente in un cuore pervaso di Santa gioia». Oltre al valore documentario eccezionale – data la scarsità di fonti alchemico-musicali – quest’accenno all’arte dei suoni rende bene l’idea dell’effetto terapeutico del suono usato per debellare la malinconia scaturita dalla solitudine e dagli insuccessi recati dall’Arte alchemica.
Rimanendo nello stesso contesto vengono alla mente figure come quella del medico Michael Maier (1566-1622) o del filosofo rosacrociano [Il movimento dei Rosa-Croce rese pubblica la sua esistenza nel 1614 con la pubblicazione a Kassel del testo (anonimo) Riforma universale e generale dell’intero universo. Seguita dalla “Fama Fraternitatis” dell’Onorevole Confraternita della Rosa-Croce, […]; in questo scritto, divenuto un testo base dell’ideologia rosacrociana, si inneggia alla costruzione di un ordine che si levi contro le scelleratezze del mondo e contro il dominio dell'Avversario; un uomo in particolare, vissuto nel XIV sec., ha goduto di un innalzamento spirituale e un’illuminazione divina tale da poter affrontare il male in tutte le sue componenti: Christian Rosenkreutz. Nel testo è descritta la sua vita e la sua iniziazione ai grandi misteri dell'universo nonché la fondazione, insieme a tre collaboratori, della “Associazione e Confraternita” e della regola dell'ordine. Dal momento della pubblicazione della Fama, in tutta Europa si susseguirono ipotesi e dibattiti sulla reale o fittizia esistenza della congregazione che si sono protratti fino ai giorni nostri. Si arrivò addirittura al punto di far pubblicare in migliaia di esemplari lettere di adesione al movimento occulto da parte di persone ossessionate dalla necessità di un'appartenenza alla congregazione. Mai nessuna risposta seguì a questi appelli. Quanto detto può sembrare poco per descrivere la storia di un ordine, a detta di molti, millenario; la Fama però, è forse l’unico indizio a nostra disposizione sul quale basare una ricerca oggettiva a proposito del movimento, sia nel caso essa rappresenti una beffa colossale ai danni dei contemporanei, sia che manifesti una reale intenzione di aggregazione esoterica. Cfr. P. ARNOLD, Historie de Rose-Croix et les Origines del la Franc-Maçonnerie, Paris 1970; F. YATES, The Rosicrucian Enlightment, London 1972] Robert Fludd (1574-1637): anche se non si può parlare delle loro opere come testi magici tout court, parte dei loro scritti avranno un peso enorme sull’occultismo successivo, anche grazie all’ardimentosa perfezione delle incisioni realizzate da Jean Théodore de Bry che, dopo aver trasferito la sede della sua impresa da Francoforte ad Oppenheim nel Palatinato, negli anni del regno di Federico V ed Elisabetta (1613-19) firmò un’incredibile quantità di testi di varia natura [tra cui l’Utriusque cosmi, maioris scilicet et minoris, methaphysica, physica atque technica historia, Oppenheim, Hieronymus Gallerus, (1617-19) di Robert Fludd, la Beschreibung der Reiss (1613), resoconto a stampa del viaggio di Elisabetta da Londra a Heidelberg e la Monas hieroglyphica di John Dee] in collaborazione con il genero Matthäus Merian [incisore dell’Hortus Palatinus (1620) di Salomon de Caus].
E proprio il De Bry si dedicò alle incisioni dell’Atalanta fugiens (1618), testo assai curioso di Maier (medico personale dell’imperatore “alchimista” Rodolfo II) in quanto corredato di una sequenza di cinquanta esempi musicali (canoni a tre voci) in perfetta simbiosi con un apparato iconografico carico di simbologie; mai come in questo testo il ruolo della musica ha avuto una valenza alchemica così decisiva: in essa è ripreso e sviluppato in maniera sempre diversa un canto fermo ecclesiastico risalente all’XI-XII secolo, tenendo presenti le caratteristiche tipiche di ogni emblema mitico magistralmente raffigurato in incisione e corredato da un discorso esplicativo: a seconda dei temi trattati si avranno canoni per aumentazione, cancrizzanti o inversi che riescono a sottolineare mirabilmente la qualità e il soggetto del testo cui fanno riferimento. Il mito di Atalanta diventa così non solo un pretesto per simboleggiare la fatica e gli ostacoli della ricerca alchemica, ma anche un ottimo espediente musicale per esprimere il rincorrersi delle tre voci – rappresentate miticamente da Ippomene (voce conseguente), dalle mele da lui gettate in terra e dalla stessa Atalanta (voce antecedente) – all’interno del canone.
L’esplicito riferimento al mito aiuta a comprendere in maniera inequivocabile il tema, tanto caro a Schelling [l’‘indifferenza’ schellinghiana, intesa come luogo neutro di riconciliazione degli opposti, è un concetto accostabile al nostro discorso; lo si potrebbe estendere includendo anche l’‘indeterminatezza’, comprendente in sé l’oggetto e il soggetto, la materia e lo spirito, componenti base dell’alchimia spirituale] della coniunctio oppositorum, la fusione dell’inizio e della fine del tempo e dello spazio (micro e macrocosmo). Il mito greco è sempre utilizzato da Maier per rappresentare una particolare condizione o fase dell’opera non condensabile in altro modo; il ruolo assunto dal mito fin dalle sue origini è di svelare realtà non riconosciute dai più e di aprire le porte ad una conoscenza superiore; con questa chiave di lettura le antiche ‘favole’ diventano portatrici di un sapere rilasciato dalla divinità all’uomo, in un tempo in cui la comunicazione con il divino non era ancora interrotta. La vicinanza concettuale con l’esperienza mosaica è tanto stretta da poter accomunare su un piano ipotetico la trasmissione della musica, cui si è fatto riferimento in precedenza, a quella del mito.
Nel corso del XVII secolo, forse prendendo spunto proprio dal lavoro di Maier, i rapporti fra alchimia, alfabeto e musica continuarono a mantenere la loro attualità all’interno delle discipline occulte e interessarono tanto gli alchimisti quanto gli studiosi di tecniche combinatorie. I primi si dedicarono a rintracciare parallelismi fra la notazione musicale, le operazioni alchemiche (non si dimentichi che l’alchimia è anche denominata ‘Arte della musica’) e l’alfabeto, creando un sistema di corrispondenze schematizzate in tabelle conosciute in Francia come Musique de N. Flamel [per uno studio completo sull’argomento si veda il saggio di Jacques Rebotier La Musique de Flamel in Alchimie, art, histoire et mythes, Actes du 1er colloque international de la Societè d’Etude de l’Histoire de l’Alchimie (Paris, College de France, 14-15-16 mars 1991), sous la direction de Didier Kalm et Sylvain Matton, Paris, S.E.H.A., 1995, pp. 507-545] la versione più antica attualmente conosciuta di questo schema è presente nel testo Le Sentier des sentiers di Arnaud de Villeneuve edito a Parigi pochi anni dopo il libro di Maier (1624). La sequenza delle associazioni è la seguente [Arnaud de Villeneuve, Le Sentier des sentiers, Paris, 1624, p. 24]:

Stelle         A Dieu premiere cause, du quel tout procede. G Sol re ut
Sole                 B Matiere visue.                                                 F Fa ut
Marte         C Putrefaction.                                                 E La mi
Venere         D Distillation.                                                 D La sol re
Giove         E Eauë distillèe.                                                 C Fa ut
Saturno         F Mixtion.                                                         B Fab mi
Mercurio         G Separation.                                                 A La mi re
Stelle         H Souffre naturel.                                         G Sol re ut
Sole                 I Terre damnèe.                                                 F Fa ut
Marte         K Sublimation.                                                 E La mi
Venere         L La pierre blanche.                                         D La sol re
Giove         M La pierre rouge.                                         C Sol fa ut
Saturno         N Feu du premier degré, fien.                         B Fab mi
Mercurio         O Feu du 2. degré, bain.                                 A La mi re
Stelle         P Feu du 3. degré, cendres.                         G Sol re ut
Sole                 Q                                                                 F Fa ut
Marte         R Feu du 4. degré, flamme.                         E La mi
Venere         S Cucurbite.                                                 D Sol re
Giove         T                                                                 C Fa ut
Saturno         V Recipient.                                                 B Mi
Mercurio         X Terre où est l’esprit.                                 A Re
                Y Mixtion avec son ferment, et inclination. G
                Z                                                                 UT

Come si può notare a ogni fase dell’Opera è assegnata non solo una nota corrispondente ma anche una breve sequenza: queste corrispondenze nascono probabilmente dall’osservazione attenta delle operazioni pratiche di cottura. In alcuni scritti si sostiene infatti che la materia in fusione emetta dei sibili di altezza differente a seconda del suo grado di perfezione e dell’influsso astrale che in quel momento la governi.
Da questa considerazione si potrebbe quasi ipotizzare una relazione tra la scelta delle note presente nell’Atalanta e un loro valore alchemico particolare, spiegando così le scelte talvolta ardite (da tanti frettolosamente risolte come errori di stampa) che nascono dal punto di vista armonico quando le voci dei canoni non si ‘incastrano’ come dovrebbero.

FUGA XLVI


Con la pubblicazione dell’album Classical Music (2022), ho deciso di cimentarmi nella rilettura di due delle cinquanta fughe presenti nell’Atalanta fugiens provando ad attualizzarne il contenuto, a rendere fruibile a un pubblico più vasto ciò che da sempre è considerato esoterico e dunque per pochi adepti.
In particolar modo ho scelto la Fuga XLVI perché palindroma e pertanto vicina ai giochi musicali che già sviluppai nell’album Math Music; oltretutto penso che costituisca un po’ una chiave di volta dell’intero corpus: viene in mente l’ouroboros, il serpente raffigurato nell’iconografia tradizionale (e anche nell’Emblema XIV dell’Atalanta) nell’atto di mordersi la coda, simbolo di perfezione, di eternità e di continuità fra cielo e terra e dunque di eterno ritorno, come lo è un canone infinito. Ma anche di annientamento, come mette in luce la palindromia che con il suo meccanismo ‘mangia’ se stessa passo a passo.
La palindromia della Fuga XLVI si evolve incrociando le due voci superiori con l’effetto di spaccare il brano a metà e riproduce musicalmente ciò che esprime l’emblema in modo visivo: le due aquile di Zeus sono inviate da Delfi una a oriente e l’altra a occidente per ricongiungersi nuovamente allo stesso punto, idealmente il centro del mondo, l’omphalòs. Nulla è lineare e scontato in Maier: mentre la prima voce va eseguita così come è scritta, la seconda va cantata al contrario, partendo cioè dal fondo del pentagramma e procedendo verso l’inizio.

Questo il testo dell’epigramma latino:

Jupiter è Delphis aquilas misisse gemellas
Fertur ad Eoas Occiduasque plagas:
Dum medium explorare locum desiderat Orbis,
(Fama ut habet) Delphos hae rediere simul
Ast illae lapides bini sunt, unus ab ortu,
Alter ab occasu, qui bene conveniunt.

Eliminando la parte vocale mi sono limitato ad arrangiarla in modo essenziale rendendolo un brano puramente strumentale. La mia riscrittura è stata radicale e molto diversa rispetto a quelle (filologicamente più precise) effettuate fino a oggi: la cadenza ternaria ho voluto che insistesse sulle singole note e non solo sull’andamento metrico così da rendere con la poliritmia delle voci un andamento più zoppicante. Rispetto allo spartito originale inoltre ho voluto aggiungere una linea di violoncello che inizia la sua melodia quando il cammino delle voci inizia a incrociarsi: ho voluto rendere l’attesa dell’arrivo delle aquile (e della conclusione del pezzo) attraverso l’instabilità nell’intonazione delle singole note, effetto che crea disturbo nell’ascoltatore, normalmente non abituato alla musica microtonale.
La si può ascoltare qui corredata dallo spartito da me trascritto in notazione moderna:


Nel Crater Hermetis di Ludovico Lazzarelli (1447-1500) l’autore, anche protagonista dell’opera insieme a Giovanni Pontano, conduce a una sorta di estasi il re Ferdinando I d’Aragona proprio attraverso la declamazione di alcuni suoi inni di carattere ermetico. La lingua dell’inno, come quella della poesia, è già magica di per sé: Mallarmé si interrogherà su chi parli in realtà in una poesia, ipotizzando che debba essere il linguaggio stesso, quasi deificandolo a ruolo di portavoce dell’altrove, ruolo che per l’appunto si addice soprattutto all’inno. L’importanza magica del canto attribuito a Orfeo e ai suoi inni ad esempio, va ricercata contemporaneamente nel potere scaturito dalle sue melodie sugli esseri circostanti (Giordano Bruno parlerebbe a questo proposito di vincoli) e nella sua capacità di creare un ponte materiale fra la dimensione terrena e quella superna anche dopo la morte [secondo il mito la testa mozzata di Orfeo continua incessantemente il suo canto: «Tum quoque marmorea caput a cervice revolsum / gurgite cum medio portans Oeagrius Hebrus / Volveret, Eurydicen vox ipsa et frigida lingua / a! miseram Eurydicen anima fugiente vocabat», (E ancora mentre l’eagrio Ebro volgeva fra i gorghi / il capo staccato dal collo marmoreo, la voce da sola / con la gelida lingua: “Euridice, ahi sventurata / Euridice” invocava mentre la vita fuggiva), P. VIRGILIO, Georgiche, a cura di Luca Canali, BUR, Milano 1983, lib. IV, vv. 523-26.
«...flebile nescio quid queritur lyra, flebile lingua / murmurat exanimis, respondent flebile ripae» (la cetra mandò un misterioso suono di pianto e la lingua senza vita mormorò un lamento a cui fece eco il lamento delle rive), OVIDIO, Le metamorfosi, trad. it. Giovanna Faranda Villa, BUR, Milano 1997, lib. XI, vv. 52-53, p. 632].
Questo dovrebbe essere anche il risultato ottenuto dall’ascolto delle (o di alcune) fughe dell’Atalanta, e di questa in particolare a parer mio. C’è qualche cosa di oscuro nella sua scrittura, di non logico nella condotta delle parti e ciò la rende un mistero nel mistero dell’opera.
Il canone in questione crea non pochi problemi di interpretazione: innanzitutto ci sono due evidenti discrepanze tra la voce fugiens e quella sequens. La prima consiste in una differente durata della terza nota; in secondo luogo manca una nota nella voce sequens probabilmente per recuperare il valore eliminato con la terza nota. Difficile dire se si tratta di sviste o di volontari messaggi in codice atti a rimarcare qualche cosa di occulto.
Di non facile interpretazione anche la dicitura al termine della voce Pomum Morans: l’Incipe a fine mi pare chiaro e lo si intenda come tale. Il verte hanc vocem in g può contenere un trabocchetto: la voce è già scritta in chiave di sol e dunque la dicitura è scontata; ciò che non è chiaro è il descendendo in a finale: personalmente interpreto il descendendo come ‘risolvendo’ e dunque ho trasposto i quattro sol finali un tono sopra (non sarebbe comprensibile altrimenti il senso dello scendere quando in realtà tocca salire di un tono).
Il problema è che quando si incastrano le tre voci non sempre tutto va per il verso giusto: alcuni passaggi risultano troppo arditi per il periodo storico in cui sono stati scritti: deve esserci ancora qualche giustificazione che sfugge alla trascrizione.
Questo il testo dell’epigramma latino:

Fabula narratur, Phoebus, Vulcanus et Hermes
In pellem bubulam semina quod suerint;
Tresque Patres fuerint magni simul orionis:
Quin Sobolem Sophiae sic tripatrem esse ferunt:
sol etenim primus, Vulcanus at esse secundus
Dicitur, huic praestans tertius arte pater.



In questo caso ho deciso di cantare le tre voci così da renderlo inizialmente un brano corale; la parte ritmica e le aggiunte armoniche iniziano dal terzo verso dell’epigramma con strumenti puramente elettronici, così da mescolare il concreto (la voce) e l’astratto (la sintesi).
La si può ascoltare qui corredata dallo spartito da me trascritto in notazione moderna:

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