L’AVE MARIA DI CHARLES GOUNOD RISCRITTA IN TONALITÀ MINORE

Si veda il saggio completo qui: https://fillide.it/wp-content/uploads/2024/04/Trucco-parodia.pdf 

Al tempo di Johann Sebastian Bach il preludiare su accordi spezzati era prassi abbastanza diffusa; talora il meccanismo dell’arpeggio veniva addirittura lasciato alla libera volontà dell’interprete e il compositore si limitava a scrivere una sequenza di accordi in successione. Questo è un po’ il meccanismo che compare nel celeberrimo Preludio n. 1 in do maggiore (BWV 846) tratto dal primo volume del Clavicembalo ben temperato (1722); tanto famoso da essere stato reinterpretato nei modi più disparati: uno fra tutti la versione dei Procol Harum contenuta nel brano Repent Walpurgis (1968) e conosciuta in Italia con il titolo un po’ meno evocativo di Fortuna.

Essendo però il brano di apertura di un’opera imponente e molto ambiziosa, Bach non si è limitato a creare una semplice sequenza armonica ma ha nascosto fra la tessitura delle note dei messaggi importanti (la composizione era già comparsa in modo meno articolato nel Klavierbüchlein scritto per il figlio Wilhelm Friedemann): Hermann Keller ci ricorda che il compositore austriaco Johann Nepomuk David notò, oltre all’evidente assenza di modulazioni in tutto il brano, che si rintracciano a macchia di leopardo tutte le 12 note della scala cromatica, significativo rimando all’impianto teorico dell’opera stessa [Le indagini sul temperamento, cioè sulla possibilità di suonare in tutte e 12 le tonalità su un solo strumento, stavano facendo il loro corso al tempo di Bach e porteranno a quello che noi oggi chiamiamo ‘temperamento equabile’ e che prevede la divisione dell’ottava in 12 semitoni. Il Clavicembalo ben temperato diverrà negli anni il collante delle varie idee, spesso molto discordi, oltre a dettare le regole definitive e più innovative circa la costruzione della fuga]. Proprio per questo motivo penso che anche la presunta irregolarità nella struttura, corretta arbitrariamente dall’editore Christian F. G. Schwencke con la ‘famosa’ sua battuta aggiunta tra la misura 22 e la 23, rappresenti un non detto comprensibile solo a pochi, un messaggio cifrato, una imperfezione voluta come lo furono quelle nei rosoni delle cattedrali gotiche.

Mi piace pensare che la forzata ricerca dei moduli quaternari in cui sarebbe stata concepita la composizione non sia stato il punto di partenza dell’autore: è un semplice fluire di sequenze armoniche che con il loro percorso conducono l’ascoltatore attraverso un periplo, un cammino che conduce di nuovo all’origine; e mi piace anche pensare che il controverso passaggio tra la battuta 22 e la 23 rappresenti il punto nevralgico di tensione del brano, in cui due accordi di settima diminuita si concatenano attraverso una giustificazione enarmonica (il la bemolle del basso altro non è che un sol diesis) anticipando da un lato il concetto di ‘modo a trasposizione limitata’ teorizzato nel XX secolo da Olivier Messiaen e confermando altresì il potere non solo pratico ma anche teorico del temperamento equabile.

La fortuna di questo preludio fu ancora più accresciuta dal curioso stravolgimento tardo romantico operato dal compositore Charles Gounod che sfruttò lo scritto bachiano (con tanto di battuta aggiunta) per fare da base armonica alla melodia della sua celebre Ave Maria. L’operazione, se si guarda alla notorietà del brano, fu un successo che perdura tutt’oggi; se la si analizza dal punto di vista estetico forse qualche perplessità può sopraggiungere, data la sua natura di pastiche tendente al kitsch.

Tenendo conto di queste premesse e volendo inizialmente solo fare un omaggio al lavoro pionieristico di Wendy Carlos [L’album Switched-on Bach (1968) merita, per chi non lo conoscesse, un attento ascolto. Qui una introduzione all’opera: https://ilsuonorazionale.com/2017/02/27/switched-on-wendy/] mi accinsi nel gennaio del 2022 a registrare il preludio in questione (e la relativa fuga) con sintetizzatori di vario tipo. Il risultato non fu soddisfacente trattandosi di una mera copia di intenti del risultato della musicista americana senza alcun apporto di originalità; fu così che decisi di riscrivere i pezzi in tonalità minore trasformando quello che era nato in una tonalità in un nuovo brano. Nuovo fino a un certo punto naturalmente: tutte le note (a parte qualche obbligatorio ritocco nella fuga) sono state lasciate al loro posto adattandole soltanto alla scala minore. Il risultato fu un Bach completamente stravolto che registrai e tenni nel cassetto in vista di una futura pubblicazione [Qui il Preludio e la Fuga tratti da Classical Music].

Non pago dell’operazione pensai di tentare una riscrittura in minore anche dell’Ave Maria di Gounod che, naturalmente, si incastrò alla perfezione sul preludio già minorizzato in precedenza. La melodia risultante fu indubbiamente astrusa, soprattutto per un orecchio abituato a sentire la versione originale; però il brano risultante nasconde una sua estetica particolare che, grazie alla voce del soprano Serena Moine, ha acquistato una grazia tutta sua.

Non so se si possa parlare di camp in musica, ma penso che questa versione dell’Ave Maria sia ciò che più si avvicini all’amore per l’artificiale e l’esagerato tipici di alcuni movimenti postmoderni: la mia intenzione di base, non essendo parodistica nell’accezione comune che mescola il termine con l’ironia e la satira, va letta proprio in senso quasi etimologico di ‘canto simile’, di opera che si rifà a un (due in questo caso) originale senza beffeggiarlo, ma dando l’avvio a un nuovo corso interpretativo.


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