Emerson, Lake & Palmer

KEITH EMERSON: L’UOMO CHE DIVENTÒ UN MOOG


Il più osannato tastierista rock della storia morì l'undici marzo del 2016.
Ars longa vita brevis: la citazione latina, forse più conosciuta nell’ambiente musicale per essere il titolo di un noto album dei Nice, una volta tanto non ci dipinge il solito quadro tragico di un mito del rock troppo prematuramente scomparso. Keith Emerson è ancora vivo e vegeto, e lo si nota soprattutto dai messaggi postati su Facebook o su Twitter dagli ammiratori di tutto il mondo.
E proprio i Nice furono uno dei primi gruppi in cui militò un giovanissimo Keith Emerson da poco licenziatosi da un ‘sicuro’ quanto improbabile impiego in banca. L’inizio della sua grande notorietà pubblica si può fissare al 26 giugno del 1968, giorno in cui a Londra in un concerto per la commemorazione dei diritti dell’uomo, diede fuoco nella prestigiosa Royal Albert Hall a una tela sulla quale aveva estemporaneamente dipinto con le bombolette una bandiera americana. In un clima di proteste più o meno consapevoli e meditate contro gli USA ma assai diffuse tra il mondo giovanile (si era all’indomani dell’assassinio di Bobby Kennedy e di Martin Luther King) quella provocazione, oltretutto sulle note di America di Leonard Bernstein, fece immediatamente il giro del mondo.


Da allora Emerson ebbe indirettamente tutta la visibilità che effettivamente meritava. I Nice in verità stavano lentamente esaurendo la loro carriera, ma l’ultimo anno passato con il gruppo fece emergere definitivamente la sua aura magica sia come musicista sia come travolgente animale da palcoscenico.
Il suo chiodo fisso era la musica classica riletta in chiave rock: è per questo che nel repertorio trovarono spazio i Concerti Brandeburghesi di Bach, la Karelia Suite di Sibelius, il Preludio in Do minore di Rachmaninoff o la Sinfonia Spagnola di Lalo. Il tutto però non voleva essere un gioco erudito fine a se stesso ma alla dimostrazione che l’esecutore era anche una macchina pensante: la fusione con i testi, le nuove armonizzazioni e le sonorità ricreate grazie a un approccio totalmente differente con l’organo Hammond fecero nascere il nuovo sound del progressive-rock.


La vera grande rivoluzione per Emerson arrivò con la scoperta da parte sua del sintetizzatore Moog alla fine degli anni ‘60. La lungimiranza di questo artista ha fatto sì che la tecnologia trovasse da allora ampio spazio nella sua musica e che fin dal primo concerto con la nuova formazione degli Emerson, Lake & Palmer il mastodontico strumento divenisse una costante della scenografia di palco. Fu tanta la voglia di migliorare le prestazioni di quello strumento allora molto instabile per l’uso live (frequenti erano i cambiamenti di intonazione dei primi modelli) che iniziò un sodalizio duraturo direttamente con Robert Moog il quale, sui suggerimenti di Keith, si adoperava a modificare le macchine e a migliorarle qualitativamente.


I primi quattro anni di vita della nuova band (1970-1974) diedero vita a dischi e concerti irripetibili: nacquero così l’omonimo Emerson Lake & Palmer, Pictures At An Exhibition, Tarkus e Trilogy. Tanta era la smania di creare che un album come Tarkus, manifesto del progressive grazie alla suite che copre tutta la prima facciata dell’LP, fu registrato in due settimane su un 16 piste; per festeggiare il momento, gli ELP improvvisarono quella che diventerà l’ultima traccia (Are you ready Eddy?), un rock and roll dedicato al tecnico del suono Eddie Offord al termine della quale è inserita la storica frase che conclude l’album “They’ve only got ‘am or cheese” pronunciata dalla cameriera che quotidianamente li riforniva di panini agli Advision Studios.


Quello fu di certo il periodo più fecondo per Emerson sia a livello creativo (il 1973 è l’anno del Brain salad surgery, da qualche anno ristampato in sei vinili)  sia virtuosistico: la tecnica pianistica e tastieristica raggiunge il suo apice proprio durante la trionfale tournée del 1974 che darà vita al triplo album live dal lunghissimo titolo Welcome Back My Friends, To The Show That Never Ends – Ladies And Gentlemen Emerson, Lake & Palmer. Ancora oggi l’ascolto dell’inimitabile solo di pianoforte che spacca a metà Take A Pebble ci dà il senso della perfezione estrema e del coraggio avuto nell’affrontare certe scelte di repertorio.


Mi riferisco in particolar modo alla complessa fuga di Gulda (geniale esperimento di commistione tra l’armonia jazz e le regole del contrappunto canonico che verrà poi sviluppato da Nikolai Kapustin)  e allo sconfinamento in un territorio estraneo al rock come quello dell’improvvisazione jazz.


Ed è proprio dal mondo del jazz che arriva per Keith la consacrazione a pianista di culto: nel 1975 Oscar Peterson lo invita a partecipare alla sua trasmissione Oscar Peterson presents…
I due si erano conosciuti al Ronnie Scott’s Jazz Club a Soho dove Peterson si esibiva in trio con il fido Niels-Henning Ørsted Pedersen al basso e Martin Drew alla batteria. Quella sera Peterson, oltre a confessare di aver visto alla televisione uno show degli ELP in cui Keith volteggiava a quindici metri di altezza con il suo pianoforte gran coda e di aver immediatamente telefonato a Count Basie per obbligarlo a sintonizzarsi sullo stesso canale, lo invitò al suo programma alla BBC.


L’idea del duello tra i due pianisti sulle note dell’Honky Tonk Train Blues è ormai storia e lascerà una traccia indelebile nell’immaginario musicale soprattutto degli italiani: non si dimentichi che Keith Emerson è conosciuto dal nostro grande pubblico proprio per l’esecuzione (non nella versione con Peterson) di questo brano, diventato nel 1976 colonna sonora della trasmissione Odeon. Una curiosità: i master a 16 piste del brano furono una delle poche cose che si salvarono dall’incendio di Stone Hill, faraonica residenza nel Sussex di Emerson.


Il lato B di Honky Tonk Train Blues fu un brano originale di Emerson dal titolo Barrelhouse Shake-Down che mischia in modo sapiente tutte le caratteristiche del pianismo ragtime.


Da quel momento fu d’obbligo uscire dall’impasse che il progressive aveva generato negli anni, convogliando la musica in un vizioso imbuto di autocitazioni e di preziosismi colti. Forse l’unico (e ultimo) gradino da superare fu proprio il ‘regresso’ alla classicità assoluta con la composizione del Piano concerto: anche se si trattava di un punto di non ritorno, era necessario per Keith dimostrare ai suoi fans (e soprattutto a se stesso) che oltre ad accoltellare organi Hammond e a stupire il mondo con esecuzioni rocambolesche era anche in grado di fermarsi a meditare e a far meditare.


I tre movimenti del concerto, con le loro fusioni di atmosfere romantiche e armonie jazz, serialismi novecenteschi e status che rimandano alle opere per pianoforte di Ginastera e di Shchedrin, convincono ancora oggi dato che diverse sono state le loro esecuzioni negli anni: a Parigi, durante le registrazioni con l’orchestra, comparve in studio persino un incuriosito Leonard Bernstein per saggiarne la qualità.
Ciò che più affascina di questo lavoro è l’effetto che ha suscitato sul pubblico: durante la tournèe del 1977 Keith convertì un intero popolo rock all’ascolto silenzioso di un’opera totalemente estranea a quel mondo, distruggendo con pochi minuti di musica anni di pregiudizi relativi all’omologazione passiva della massa e dilatando i confini di fruizione dei generi.


Con quel canto del cigno il sogno finì e gli ELP si sgretolarono. Emerson cominciò a dedicarsi alle colonne sonore (celebre è diventato il motivo conduttore di Inferno di Dario Argento) e tentò di mettere insieme nuovi gruppi senza particolari successi.


Ho assistito a una loro esibizione dal vivo nel 1992 all’arena di Verona: nonostante fosse palpabile l’operazione commerciale della reunion il gruppo resse bene (non certo grazie alla voce devastata dalle sigarette di Greg Lake) e Emo non risparmiò nessuno dei suoi cavalli di battaglia, non solo suonando coricato al contrario e massacrando l’Hammond L100 ma arrampicandosi anche sui tralicci dell’americana a disdegno delle sue preziose mani. Fu però un fuoco di paglia.


Purtroppo i molti acciacchi e i talvolta gravi problemi ai tendini delle mani hanno annientato quasi del tutto il fuoco che scaturiva dalle sue esibizioni. Il discorso è sempre lo stesso: il rock – e ne sono convinto – lo si può fare anche a 70 anni, ma la saggezza della vecchiaia dovrebbe saper sviluppare un’autocritica tale da rendere l’uomo consapevole dei propri limiti.
Il virtuosismo è un espediente dei musicisti per farsi osannare da una parte dei loro fans; è un escamotage politicamente corretto e accettato per dimostrare superiorità e bravura sul palco. Quando però la dimostrazione è finita arriva il tempo della sostanza: ad un certo punto la maturità artistica impone la riflessione.


La critica che si può muovere a mostri sacri come Art Tatum e allo stesso Peterson i quali, in alcuni momenti della loro carriera, hanno peccato di troppo virtuosismo a discapito della raffinatezza armonica e della fantasia improvvisativa, per Emerson è stata per un certo tempo curiosamente un punto di forza. Il suo tempo della riflessione però non ha condotto a nuovi entusiasmanti risultati e venendo a mancare la capacità tecnica il castello purtroppo è in parte crollato. In parte perchè la saggia alleanza con Marc Bonilla ha ancora prodotto qualche scintilla interessante per gli amanti del prog.
In ogni caso credo che una gratificazione unica nel suo genere l'abbia ricevuta: la Moog ha deciso di dedicargli il rinato modello del Modular System nell’anniversario del mezzo secolo dalla prima produzione. L’identificazione tra l’artista e il suo strumento può dirsi completata: da allora Keith Emerson è per antonomasia una tastiera Moog.


Discografia essenziale

Con i Nice
1968 - The Thoughts of Emerlist Davjack
1968 - Ars Longa Vita Brevis
1969 - Nice
1970 - Five bridges
1971 - Elegy
Con ELP
1970 - Emerson Lake & Palmer
1971 - Tarkus
1971 - Pictures at an Exhibition
1972 - Trilogy
1973 - Brain Salad Surgery
1974 - Welcome Back My Friends
1977 - Works Volume 1
Come solista
1980 - Inferno
1981 - Nighthawks
1988 - The Christmas Album
1989 - La chiesa


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